Il web sta trasformando le nostre possibilità di parlarci, di comunicare in genere, ma anche di parlarci usando l’arte.
L’arte è un’attività attraverso cui ognuno rappresenta se stesso e il mondo a cui appartiene. Fare arte non è solo una cosa da professionisti, non è solo una cosa per quelli bravi che fanno opere d’arte, cose bellissime.
L’arte è anche un modo particolare di esprimersi e di comunicare. Fare musica, recitare una poesia o ballare è un modo di entrare in contatto con noi stessi, con più parti di noi stessi.
Condividere arte può significare allora la possibilità di parlarsi con un linguaggio diverso da quello che generalmente usiamo, che è verbale e razionale. L’arte è sintesi, il gesto artistico, anche naive, è una rappresentazione capace di aprire ampi spazi di significato, per comprenderci e farci capire anche dagli altri.
Dal dopoguerra in poi c’è stata una netta separazione tra fare arte per se stessi, magari condividendola nelle piccole cerchie private, e per lavorarci condividendola con tanti, cosa possibile solo attraverso dischi, radio e tv.
Solo la firma di un contratto, l’adesione ai diktat di chi governa radio, tv e produzione discografica poteva connetterti a un pubblico ampio. Questo conduceva l’espressione libera di chi suonava, recitava o ballava alla professionalizzazione di quella creatività, dandogli la possibilità di guadagnarci, chiaramente.
Col web, per la prima volta questo passaggio non è più necessario. Se vuoi condividere le tue idee, non devi mediare più con chi è proprietario di case discografiche, tv o radio. A meno che non sei strettamente interessato a quel modello di vita, di produzione e lavoro.
Inoltre, l’arte può essere per la prima volta non professionale e contemporaneamente largamente condivisa, almeno potenzialmente. Sappiamo bene che per parlare a tanti sul web devi sponsorizzare i tuoi post. Ma puoi diventare anche virale attraverso le condivisioni degli altri.
In tutti i casi fare musica, quel modo particolare di esprimersi e comunicare, si emancipa dalle rigidità imposte da chi controlla per vari motivi, la produzione e distribuzione di musica.
Con la rete, il tuo rapporto con gli ascoltatori o gli spettatori si può svincolare, almeno in parte, dalla preoccupazione di deludere o di non vendere, una cosa tipica dei modelli della grande industria.
Sul web, puoi anche attivare una comunicazione bidirezionale con chi ti ascolta. Anche se fai l’artista di professione, puoi inoltre diventare più vario e complesso, scavalcando le rigide suddivisioni in generi imposte dalle censure e dalle preoccupazioni di mancate vendite di chi ha investito tanto.
L’arte serve per stare bene, è un’attività simbolica rappresentativa di se stessi e del mondo che ci circonda ma diventa comunicazione solo quando può essere condivisa. Adesso questo è molto più semplice ed è più semplice anche creare e far evolvere il proprio linguaggio di comunicazione artistica.
Quando il lavoro di musicista, attore, disegnatore o ballerino diventa la tua professione le cose diventano sicuramente più complesse, ci sono implicazioni sociali, economiche, organizzative e psicologiche di tipo diverso. Penso però che il web stia cambiando rapidamente anche lo scenario professionale, forse mescolandolo a quello più libero e primitivo che tutti stiamo sperimentando.
Quasi tutti gli artisti che amiamo hanno cominciato il loro lavoro almeno vent’anni prima che il web esistesse, adesso secondo me è interessante capire come si stiano adattando al nuovo contesto di produzione, vendita e condivisione costituito dal web.
Sono un grande ascoltatore di musica, mi piace l’arte popolare dei grandi attori di cinema e tv ma sono sempre più interessato a immaginare anche come hanno conciliato la loro creatività al sistema di produzione industriale, a quel sistema di vincoli e opportunità tipici del 900.
Alcuni artisti che abbiamo seguito, comprando i loro cd, andando ai loro concerti o scegliendoli come nostri registi di riferimento sono molto di più di grandi artigiani della musica, della parola o del cinema.
Bisognerebbe guardare a loro come a un tipo molto particolare di imprenditore, di capo di impresa. Facciamo un esempio, un’artista che dal 1980 al 2000 ha venduto un milione di copie di dischi, calcolando un disco a 10 euro, ha mosso e gestito indirettamente 10 milioni di euro solo con i dischi, poi ci sono anche tutti i live che ha fatto.
Questo implica saper fare gruppo, saper fare rete con tutti gli addetti di settore, i critici, i manager locali, i professionisti della tv. Significa gestire e far parte di un sistema economico complesso e saper fare contemporanemente innovazione.
Nel contesto industriale del dopoguerra, gli artisti che seguiamo hanno messo in gioco continuamente la loro sfera sentimentale, raccontandola. Questo ha richiesto secondo me una particolare capacità di far quadrare i conti economici con quelli più intimi, del pensiero e del sentimento.
Ogni impresa è fatta di ruoli, obiettivi e leadership specifiche ma il punto di vista di un grande artista è olistico e per lui sentimento e questioni economiche e organizzative devono avere quasi la stessa considerazione, almeno per lui che ci mette la faccia per anni e muove organizzazioni complesse di persone.
Il web sta cambiando tutto questo, mettendo in crisi i modelli di lavoro e produzione artistica tradizionali. Per essere più liberi e espressivi c’è bisogno però di capire e usare queste nuove possibilità.