Ho cominciato ad ascoltare e cantare Pino Daniele da adolescente. Poi quando avevo 16 o 17 anni ho cominciato anche a interpretare la sua carriera, le sue creazioni. Ricordo ancora la delusione del disco Che Dio ti benedica, e il grande entusiasmo per Un uomo in blues. Adesso trovo che sia bellissimo anche Che Dio ti benedica. Nel 2001 Abitavo a Torino e per strada, da un negozio ascoltai un pezzo pop mediorientale… mi sembrava Pino e in giornata scoprii che aveva pubblicato un nuovo disco Medina, bellissimo! Ormai cominciava a essere fuori moda ampiamente ma un’artista, la sua traiettoria è parte integrante dell’opera che crea nel tempo che piaccia o non piaccia, che venda o non venda. Pino è figlio degli anni 60 di un’idea di musica e di arte dialettica con la società e i suoi cambiamenti. Se l’arte non è dialettica con lo status quo, con la società, diventa una tisana, un caffè bollente, un whisky, un piatto di spaghetti buonissimo ma non racconta più niente, solo un momento per alimentarsi, per fermarsi, per non pensare, che pure serve.